giovedì 25 aprile 2019
domenica 7 aprile 2019
Abduzione e Serendipità
LA SERENDIPITÀ COME PENSIERO ABDUTTIVO
La serendipità come pensiero abduttivo
di Immacolata Lagreca
La ragione umana si basa su ragionamenti logici che portano alla conoscenza. Un ragionamento è «una successione di enunciati collegati fra loro in un certo modo da inferenze»[1]. L’inferenza è un ragionamento logico mediante il quale si esercita il processo di conoscenza. Gli elementi che compongono un processo inferenziale (ragionamento), sono tre: un caso, una regola, e un risultato. Combinando questi tre elementi si possono ottenere altrettanti tipi di inferenza:
- caso (premessa) – regola – approdo (conclusione): deduzione;
- caso (premessa) – approdo (conclusione) – regola: induzione;
- regola – caso (premessa) – approdo (conclusione): abduzione.
La deduzione è un processo in cui si conoscono le premesse e le regole e si vuole ricavare una conclusione. Essa parte da una regola generale la applica a un fatto specifico e ne trae un risultato certo. La conclusione renderà esplicite informazioni che sono presenti solo implicitamente nelle premesse. Viene impiegata nel ragionamento matematico, mentre nel ragionamento ordinario essa viene impiegata molto raramente a causa della difficoltà di disporre di regole generali certe.
Un esempio per comprendere:
Un esempio per comprendere:
- Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi (regola);
- Questi fagioli vengono da questo sacchetto (caso);
- Questi fagioli sono bianchi (risultato)[2].
L’induzione è invece un processo in cui si conoscono le premesse e la conclusione e si vogliono ricostruire le regole. Essa parte da un caso specifico, lo connette a un altro fatto e ne trae una regola generale probabile (risultato incerto). In pratica, l’induzione parte da un’ipotesi senza essere guidata fatti specifici, anzi essa cerca dei fatti studiando le ipotesi. Il valore di verità del suo approdo aumenta statisticamente via via che le conferme arrivano. Tuttavia, non si potrà mai arrivare a una certezza assoluta, perché non si potrà ricevere conferme per la totalità dei casi.
Un esempio per comprendere:
- Questi fagioli vengono da questo sacchetto (caso);
- Questi fagioli sono bianchi (risultato);
- Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi (regola).
L’abduzione è un processo a ritroso che si impiega quando si conoscono regole e conclusione e si vogliono ricostruire le premesse. Essa considera un fatto specifico, lo connette a una regola ipotetica e ne ricava un risultato incerto, cioè una conclusione ipotetica. L’abduzione parte dai fatti osservati senza avere in mente nessuna particolare teoria, il suo risultato è una regola solo probabile, mai certa, e va adottata solo provvisoriamente.
Utilizzando sempre l’esempio dei fagioli:
- Questi fagioli sono bianchi (risultato);
- Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi (regola);
- Questi fagioli vengono da questo sacchetto (caso).
Per comprendere ancor di più una abduzione, essa è impiegata nel ragionamento diagnostico (un medico di fronte a un sintomo, un informatico di fronte a un guasto del pc e così via), nel ragionamento investigativo, nel ragionamento scientifico (un ricercatore di fronte a un’ipotesi da verificare).
Riassumendo: l’induzione si ha quando si va verso qualcosa (in-duzione); la deduzione quando da questo qualcosa si proviene (de-duzione); l’abduzione quando il pensiero compie un movimento laterale (ab-duzione), oppure anche quando si procede a ritroso (e in tal caso è anche chiamata retro-duzione). L’approdo di questi tre tipi di inferenza è diverso: per una induzione è una sintesi, quello di una deduzione una tesi, quello di un’abduzione una ipotesi.
Riassumendo: l’induzione si ha quando si va verso qualcosa (in-duzione); la deduzione quando da questo qualcosa si proviene (de-duzione); l’abduzione quando il pensiero compie un movimento laterale (ab-duzione), oppure anche quando si procede a ritroso (e in tal caso è anche chiamata retro-duzione). L’approdo di questi tre tipi di inferenza è diverso: per una induzione è una sintesi, quello di una deduzione una tesi, quello di un’abduzione una ipotesi.
Un aspetto particolare dell’abduzione è la serendipità.
Il termine serendipità fu coniato dallo scrittore Horace Walpole (1717-1797), in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 e destinata al cugino Horace Mann. Nella lettera Walpole dichiarava di aver concepito il neologismo dopo aver letto la novella I tre principi di Serendippo di Cristoforo Armeno[3]. Il romanzo narra che durante un viaggio senza una meta precisa e al solo scopo di guardarsi intorno per scoprire il mondo, i tre Principi riescono a capire, sulla base di osservazioni del tutto casuali fatte lungo il loro cammino, che un cammello misteriosamente scomparso ha un occhio cieco e zoppica. Il proprietario del cammello, stupito dall’esattezza delle affermazioni dei tre Principi, li accusa del furto e li fa imprigionare. Il cammello però è ritrovato e i tre Principi liberati. In realtà la scoperta dei tre erano dovute esclusivamente alla sagacia e non erano compiute mentre inseguivano altro, come vuole la definizione attuale: la facoltà di fare scoperte inattese, mentre si sta cercando altro. Così nel linguaggio quotidiano con il termine serendipità è diventato praticamente sinonimo di “caso” e “scoprire per serendipità” equivale a “scoprire per caso”. Tuttavia questa “deriva” semantica non rende quanto dovrebbe a questo processo. Certamente questa “distorsione” è stata alimentata dall’aneddotica che si è sviluppata intorno a questo processo: Cristoforo Colombo scopre l’America per caso, mentre parte per le Indie; Archimede scopre l’omonimo principio mentre si concede un po’ di relax nella vasca da bagno; Isaac Newton sviluppa la legge di gravitazione universale dopo aver visto cadere una mela da un albero; Alexander Fleming scopre la penicillina al rientro da una breve vacanza, mentre stava lavorando sugli stafilococchi; o per finire, ma gli aneddoti sono tanti, la scoperta del Viagra dai ricercatori della Compagnia Pfizer mentre compivano ricerche sul trattamento dell’Angina Pectoris[4].
Tuttavia, serendipità non significa che ognuno di noi può diventare uno scienziato da un momento all’altro, pur in assenza di qualsiasi competenza o preparazione, né che le scoperte scientifiche sono affidate al caso, perché il caso è solo una componente della serendipità, che funziona sempre in maniera abduttiva: nessun evento fortuito è in grado di generare da sé una scoperta scientifica o di altro tipo se a esso non corrisponde una mente sagace e preparata, vale a dire una mente in possesso di conoscenze non comuni, riflessioni e teorie elaborate nel tempo, nozioni acquisite con sforzo e disciplina[5]. In definitive, senza “preparazione” l’evento casuale sarebbe passato inosservato. L’espressione “scoprire per caso” dovrebbe quindi esser tradotta in “capace di trarre profitto dall’imprevisto”.
La definizione più appropriata di serendipità è probabilmente quella offerta da Robert Merton:
Il modello della serendipity, si riferisce all’esperienza, abbastanza comune che consiste nell’osservare un dato imprevisto, anomalo e strategico [deve avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata], che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria, o all’ampliamento di una già esistente. […] l’incongruenza stimola il ricercatore a “trovare un senso al dato”. Nella fortunata circostanza che la sua nuova supposizione si dimostri giustificata, il dato anomalo finisce per portarlo a un ampliamento della teoria o a una teoria nuova[6].
Se c’è una cosa che insegna la serendipità è che ogni scoperta è basata sul pensiero metodico e rigoroso. Niente soli colpi di fortuna, dunque, ma nuovi dati per elaborare nuove idee.
Formare al pensiero abduttivo è importante, specialmente oggi, epoca della complessità e dell’eccesso delle informazioni. Predisporsi alla serendipità può essere un modo per comprendere mentre si vaga in ambiti a prima vista privi di senso, per non lasciarsi perdere l’occasione “fortuita” di esplorare nuovi orizzonti.
martedì 2 aprile 2019
venerdì 22 marzo 2019
When two loudspeakers sound different, at least one of them is wrong. Maybe both.
Which is better : the Rectilinear III, at $299,
or a comparably priced but totally different -sounding
speaker by another reputable manufacturer?
The ready answer to that question by a nice,
clean -living salesman or boy-scout hi-fi expert is:
"It's a matter of taste. Whichever you prefer
for your own listening. They're both good."
We want you to know how irresponsible
and misleading such bland advice is.
Think about it:
A loudspeaker is a reproducer. The
most important part of that word is the
prefix re, meaning again. A loudspeaker
produces again something that has
already been produced once.
Not something new and different.
Therefore, what it correctly
reproduces should be identical to the
original production. The reproduction is either
right or wrong. Two different -sounding reproductions
can't both be identical to the original.
The common fallacy is to call the reproduction
wrong only when it's obviously unpleasant ( fuzzy or
shrieky highs, hollow midrange, etc.) . But what
about a pleasingly plump bass, lots of sheen on the
high end, and that punchy or zippy overall quality
known as "presence"? Equally wrong. And, because
of the seductive "hi-fi" appeal, much more treacherous.
To glamorize the original that way amounts
to having a built-in and permanently set tone control
in your speaker. For some program material it can be
disastrously unsuitable. Like the funhouse mirror
that makes everybody look tall and thin, it's great for
short and fat inputs only.
giovedì 14 febbraio 2019
giovedì 24 gennaio 2019
giovedì 25 ottobre 2018
Eyeglasses
Quote:
I think it sounds different. I can't say that it sounds better. But as long as the lights are off and I'm kicking back to relax the main thing is that it's nice to take my glasses off and rest my nose. But I do feel it has a positive impact on imaging. But I can't be sure because you have to bring your hand up to your face which obstructs a lot, and I'm not anal enough to devise some sort of device to remove my glasses without using my hands. And even if there isn't any difference at all, I return to the simple fact that it's nice to take them off. Same reason I turn off the lights.
mercoledì 24 ottobre 2018
Speaker grille / Eyeglasses
http://forums.stevehoffman.tv/threads/speaker-grills-on-or-off.340039/page-2
So when one has no option the choice is obvious. Also, if a particular model is voiced with or without them then the supposedly acoustically transparent cloth must not be so transparent at some point. All of that is mechanical. But what about the psychological effect? Can a speaker seem "hushed" simply by putting on the grilles and covering up the shiny bits? Some grilles can "darken" the room visually. I've spoken to many folks over the years who felt they altered the sound of their listening environment by changing the paint color.
Now, changing from flat to semi-gloss is a given as to impact but color, what about those effects? We see things as hard or soft, how does that impact our perception of the sound?
Dynaudio recommends removing your eyeglasses when auditioning speakers for instance.
_______________________________________________________
Remember last year at RMAF in the Goya room. They are those really ugly "elfin" looking speakers. They were demonstrating those tiny acoustical resonators in a huge room. I'm sorry folks, but two people leaving or four people entering a room is going to have more of an acoustical effect than those little trinkets. A room filled with people wearing eyeglasses vs. no eyeglasses is going to have more of an effect and probably measurable
https://www.quora.com/How-do-people-with-glasses-use-headphones
sabato 22 settembre 2018
Saturazione acustica
L'ambiente "satura" ? Il problema e le soluzioni (cc)
Per prima cosa vediamo di intenderci su cosa significa "saturare".
Per un amplificatore saturare è sininomo di "clippare" (e l'ampli distorce)
Per un altoparlante "satura" quando arriva "a fondo corsa" (e distorce)
Per l'ambiente quando qualche modo normale produce onde stazionarie così intense da impedire l'ascolto per l'eccessivo fastidio che producono. In queste caso però non è l'aria nell'ambiente che distorce ma "satura" l'ascoltatore.
Un ambiente "satura" quando si supera un certo livello SPL quindi basterebbe abbassare il volume. Purtroppo se un ambiente satura è perchè:
- ha una forma particolarmente problematica (per esempio cubico)
- i diffuori ed il punto di ascolto sono mal posizionati (per esempio diffusori in angolo e punto di ascolto al centro ella stanza)
- è troppo riflettente.
Se l'ambiente è troppo riflettente anche la riproduzione delle frequenze medie e acute non è ottimale (ma questo si risolve). La qualità della riproduzione comunque ne risente e difficlmente potrà superare un certo livello. Nei "piccoli ambienti" (meno di 30 metri quadri) il problema principale sono sempre le frequenze basse.
Anche se l'ambiente "satura" l'aria non produce, da sola, distorsione. L'ambiente, al massmo, mette in evidenza la distorsione che produce l'altoparlante. Ciò non significa che l'aria non possa distorcere di suo (avviene spesso nei condotti reflex e in certi sistemi a tromba). La sione dell'ambiente, anche se "piccola", è sempre molto maggiore della superficie radiante degli altoparlanti e la velocità dell'aria è, di conseguenza, minore della velocità del diaframma.
Ci sono soluzioni?
certamente sì ma vanno valutate caso per caso perchè non tutti possono spostare a piacimento i diffusori ed il punto di ascolto o trattare acusticamente l'ambiente o possono permettersi cambiamenti onerosi. Più limiti ci sono più la soluzione si complica. Quello che si può fare quasi sempre è applcare una correzione dell'ambinete con un DRC (Dirac, o altro analogo). Un migloramento si ottiene comunque.
Per un amplificatore saturare è sininomo di "clippare" (e l'ampli distorce)
Per un altoparlante "satura" quando arriva "a fondo corsa" (e distorce)
Per l'ambiente quando qualche modo normale produce onde stazionarie così intense da impedire l'ascolto per l'eccessivo fastidio che producono. In queste caso però non è l'aria nell'ambiente che distorce ma "satura" l'ascoltatore.
L'ambiente "satura" ? Il problema e le soluzioni (cc)
Un ambiente "satura" quando si supera un certo livello SPL quindi basterebbe abbassare il volume. Purtroppo se un ambiente satura è perchè:
- ha una forma particolarmente problematica (per esempio cubico)
- i diffuori ed il punto di ascolto sono mal posizionati (per esempio diffusori in angolo e punto di ascolto al centro ella stanza)
- è troppo riflettente.
Se l'ambiente è troppo riflettente anche la riproduzione delle frequenze medie e acute non è ottimale (ma questo si risolve). La qualità della riproduzione comunque ne risente e difficlmente potrà superare un certo livello. Nei "piccoli ambienti" (meno di 30 metri quadri) il problema principale sono sempre le frequenze basse.
Anche se l'ambiente "satura" l'aria non produce, da sola, distorsione. L'ambiente, al massmo, mette in evidenza la distorsione che produce l'altoparlante. Ciò non significa che l'aria non possa distorcere di suo (avviene spesso nei condotti reflex e in certi sistemi a tromba). La sione dell'ambiente, anche se "piccola", è sempre molto maggiore della superficie radiante degli altoparlanti e la velocità dell'aria è, di conseguenza, minore della velocità del diaframma.
Ci sono soluzioni?
certamente sì ma vanno valutate caso per caso perchè non tutti possono spostare a piacimento i diffusori ed il punto di ascolto o trattare acusticamente l'ambiente o possono permettersi cambiamenti onerosi. Più limiti ci sono più la soluzione si complica. Quello che si può fare quasi sempre è applcare una correzione dell'ambinete con un DRC (Dirac, o altro analogo). Un migloramento si ottiene comunque.
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